Forse quasi tutti ricordano Roberto Donadoni come quel giovane uomo in maglia rossonera che aveva la fascia destra come territorio di scoperte e sacrifici; uno che non faceva rumore ma costruiva. In quell’epoca di Milan glorioso – Sacchi, Capello, Europa ai piedi, eccellenza cucita addosso al gruppo – Donadoni non era la stella da copertina. Era la linea sottile fra normalità e genio, la sobrietà applicata al successo.
E poi quell’immagine scolpita: Napoli, 1990, rigore contro l’Argentina, il dolore che non diventa isteria ma dignità. Donadoni, da sempre, è uno che sa trarre lezione dalla sconfitta.
Dopo quei giorni, Donadoni è diventato la figura che attraversa il calcio italiano senza urlare. Allenatore mai sopra le righe, tecnico che lascia tracce di metodo, disciplina e senso del gruppo a Livorno, Parma, Bologna, persino Nazionale. Euro 2008 lo ricorda per aver portato l’Italia ai quarti, uscito solo ai rigori contro la Spagna futura regina.
Ora, il ritorno: dopo anni di silenzio, eccolo scegliere la strada meno illuminata, quella in salita, quella dello Spezia Calcio.
Lo Spezia è un club che ha assaporato la Serie A, ma ora vive il peso della retrocessione. Non è solo una questione di classifica: la squadra è in cerca di un’identità, fragile e orgogliosa allo stesso tempo. Negli ultimi mesi la fatica è stata più psicologica che tattica, il gruppo si è perso nei momenti difficili, e il cambio in panchina è un tentativo di ritrovare fiducia.
Ma quando si parla di Spezia calcio oggi, bisogna andare oltre la cronaca.
A centrocampo, ad esempio, Salvatore Esposito rappresenta una delle scommesse più interessanti: giovane, ma con senso tattico e gamba, regista che può dare ordine.
Sulle fasce, Arkadiusz Reca (terzino) è motore continuo, mentre Daniele Verde offre estro offensivo e fantasia, uno che nel momento giusto sa cambiare la partita.
Questi sono solo alcuni dei nomi dei protagonisti in campo che, con le loro storie e qualità diverse, rendono un vero e proprio mosaico quel campo su cui Donadoni dovrà ricostruire non solo la classifica, ma la mentalità.
La Serie B non dovrebbe essere il “calcio minore” trattato con sufficienza; qualcuno pensa che vi finiscano le storie, invece spesso è proprio da lì che ripartono i grandi racconti, quelli che sanno di rivalsa e resilienza.
Da Inzaghi che lotta per la rinascita del Palermo, a Donadoni che si affida alle emozioni spezzine: le vecchie glorie scendono in campo per insegnare umiltà, per trasmettere lavoro, per ricordare che il calcio vero non vive solo di riflettori.
La B è ciclo e laboratorio, dove la pressione non è solo dettata dall’ambizione ma dal dovere di ricostruire.
Questi allenatori portano le loro esperienze e le loro ferite, scegliendo la fatica invece della comodità.
Donadoni non promette rivoluzioni mediatiche, né snaturamenti strategici: mira piuttosto a ricucire crepe invisibili e a restituire stabilità.
Il suo calcio resta pragmatico, il 4-3-3 come sintesi di equilibrio.
Allo Spezia porta la normalità come valore raro, e la credibilità di chi fa parlare i risultati.
Se riuscirà a trasmettere serenità, potrà donare al club una nuova identità, forgiando una squadra vera e non solo una rosa di nomi.
Donadoni non è solo “un nome che arriva”, è simbolo: di una fase del calcio in cui lo spettacolo non è tutto, in cui la costruzione, la manutenzione del progetto, il lavoro quotidiano possono fare la differenza.
Guardando bene alla Serie B: squadre con budget ridotti, rose più snelle, pressioni diverse e l’allenatore, il gruppo, la mentalità che diventano – proprio per questo – ancora più importanti. Forse, in quest’ottica, il calcio più autentico è quello che non trova spazio sulle prime pagine, quello che vince tempo e memoria.
Nel silenzio della Serie B si costruisce il futuro, lontano da calciomercato e copertine: qui, ogni punto guadagnato ha il sapore della resistenza e di una dignità propria, che non è solo “aspirazione” alla Serie A.
In un mondo in cui si parla sempre dei grandi campionati, dei costi folli, dei nomi globali, la trattazione mediatica e la copertura dovrebbero cambiare: non solo “chi va su in Serie A” o “chi vince lo scudetto”, ma anche “chi costruisce bene”, “chi resiste”, “chi rigenera”. La Serie B ha storie, ha protagonisti, ha educazione al calcio che spesso manca altrove. E Donadoni che arriva allo Spezia, porta con sé tutto questo: racconto, memoria, impegno.
Se farà bene – e la stagione è lunga – potrebbe essere una delle storie più autentiche della stagione sportiva: non l’ennesimo boom mediatico, ma un salto di qualità silenzioso, solido e rispettoso.